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M croScopioMensile Medico Scientifico

IPOTIROIDISMO

www.microscopionline.it

PARKINSON

Pubb

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Num

. XI

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Mar

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011

COLON IRRITABILEsindrome

M croScopio

malattia di

cause, sintomi, terapie

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M croScopio

FLASH

Ufficio stampa FOFIMaurizio ImperialiViviana Castelli

notizia

La pubblicazione in Gazzetta Uf-

ficiale del decreto applicativo che

disciplina l’esecuzione dei test

diagnostici di prima istanza nelle

farmacie segna la concretizza-

zione del progetto della farma-

cia dei servizi elaborato nel 2006

dalla Federazione degli Ordini.

“E’ con grande soddisfazione che registriamo l’arrivo in Gaz-

zetta Ufficiale del decreto applicativo che disciplina l’esecuzio-

ne dei test diagnostici di prima istanza in farmacia. Quando

nel 2006 abbiamo proposto il progetto della farmacia centro

polifunzionale di servizi avevamo due obiettivi: contribuire a

una migliore assistenza sul territorio e promuovere un’impor-

tante evoluzione della professionalità dei farmacisti italiani”

dice il presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti

Andrea Mandelli. “Da sempre il farmacista svolge una funzione

di consulenza del cittadino fondamentale, spesso, come nel

servizio notturno, essendo l’unico operatore sanitario presen-

te sul territorio oltre ai servizi di emergenza. Oggi, con la fase

conclusiva dell’iter partito con la Legge 69/2009, la farmacia

dei servizi permetterà al farmacista di poter offrire un più am-

pio ventaglio di prestazioni, potendo collaborare anche alla

prevenzione primaria accanto ai medici di famiglia, con i quali

auspichiamo si rinsaldi la già grande collaborazione a vantag-

gio dei cittadini”. Un ringraziamento, dunque, “va a tutti i col-

leghi che hanno creduto in questo progetto e naturalmente”

conclude Mandelli ”al Ministro della Salute Ferruccio Fazio, che

ne ha colto le potenzialità e si è impegnato perché si traduces-

se in una realtà concreta”.

Test in farmacia:un riconoscimento della

professionalità

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in tutta Italia

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SOMMARIO

Direttore EditorialeAntonio Guerrieri

Direttore ResponsabileCaterina Guerrieri

Capo redattore e coordinatriceCinzia Mortolini

RedazioneStefania Legumi, Caterina Guerrieri, Francesco Fiumarella

CollaboratoriPaolo Nicoletti, Marco Nicoletti

Le opinioni espresse impegnano solo la responsabilità dei singoli autori. Tutto il materiale inviato, anche se non pubblicato, non sarà restituito e resterà di proprietà dell’editore.

EndocrinologiaIpotiroidismopag. 6

GastroenterologiaSindrome del Colon Irritabilepag. 8

inPrevenzioneIctus: una dieta per prevenirepag. 12

inSaluteIntolleranze Alimentaripag. 14

Progetto GraficoMarco Brugnoni - [email protected]

StampaProperzio s.r.l - Perugia

Si ringraziaDott. Santo Gentile, Dott. Alessandro Scuotto, Dott.sa Olga Fraschini, Ufficio Stampa Università Cattolica sede di Roma, Ufficio Stampa Telethon, Fondazione San Raffaele del Monte Tabor, Ufficio Stampa Gruppo MultiMedica, Ufficio Stampa Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, Ufficio Stampa Istituto Dermatologico San Gallicano, Ufficio Stampa Istituto Nazionale di Neuroscienze.

EditoreE.G.I s.r.l.Reg. Tribunale di PerugiaN. 12/2010 del 10/02/2010

Direzione e AmministrazioneE.G.I. s.r.l. Via Hanoi, 2 • 06023 Bastia Umbra (PG) Tel. 075.800.66.05 - Fax 075.800.42.70 [email protected]

Marketing & PubblicitàGuerrieri Antonio, Altea NatalinoTel. 075.800.53.89

Ricerca

Pubblicazione Mensile in abbonamento • Num. XII - Marzo 2011M croScopio

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Allergie da pollinipag. 16

Telethon Scoperta una “firma genetica” del diatebepag. 17

Tumore al Pancrea: nuovo protocolo terapeuticopag. 20

Alzheimer: un vaccino per prevenirlo pag. 21

Tumori ovaricipag. 24

Malattia di Parkinsonpag. 25

Giornata Mondiale del Renepag. 27

INNantagonisti del recettore NOP per la cura della depressione e del morbo di Parkinsonpag. 28

Ricerca

Errata Corrige: nel numero XI l’articolo del Dott. G. Internullo e’ stato erreoneamente intitolato Rizoartosi invce e di Rizoartrosi. Ci scusiamo per l’errore.

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Risponde il Dottor Santo Gentile specialista in Endocrinologia e Malattie del Ricambio, Tiroide con specificità nella diagnostica ecografia con agoaspirati ed alcoolizzazione dei noduli e cisti della tiroide, Diabete mellito e prevenzione e cura del piede diabetico, ecografia internistica ed endocrinologica, medicina interna e di pronto soccorso. Diploma Nazionale Siumb.

ottor Gentile l’ipotiroidi-smo è in aumento negli ultimi anni?

Sicuramente sì anche perché ci sono più persone che si rivolgono all’en-docrinologo e perché sono sempre di più le persone che richiedono an-che al medico di famiglia le analisi di

IPOTIROIDISMOCause, sintomi, screening, terapie.

routine della tiroide. Gli ipotiroidi-smo nel 95% dei casi sono primitivi a malattie della tiroide, nel 5% dei casi sono secondari a disturbi dell’asse ipotalamo ipofisario. Quelli primitivi posso essere congeniti oppure ac-quisiti (carenza di iodio, tiroidite, da farmaci, post-chirurgico, post tera-

pia con iodio metabolico etc).

Le terapie farmacologiche sono sempre più efficaci? Ci sono far-maci risolutivi?La terapia dell’ipotiroidismo è detta “sostitutiva” si utilizza la L-levotiro-xina ormone normalmente prodotto dalla ghiandola tiroidea, ma di sin-tesi in laboratorio. Negli ultimi anni ci sono nuovi farmaci di sintesi che hanno ampliato l’offerta farmaco-logica e permettono di controllare qualsiasi forma di ipotiroidismo an-che quella neonatale.Dottore l’ipotiroidismo secondo

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M croScopioendocrinologia

la sua casistica è sempre più “pre-coce”?Si viene scoperto sempre più preco-cemente e spesso solo nella forma “pre-clinica”. Raramente si assiste a casi di ipotiroidismo clinicamente conclamato. Questo perché sempre di più lo screening degli ormoni ti-roidei è diventata una pratica usuale innanzitutto tra i medici di famiglia.

Gli esami di screening Dottor Gentile?In Italia dalla fine degli anni 70 tutti i neonati vengono sottoposti a scre-ening mediante il dosaggio ematico del TSH ed FT4. Per individuare l’ipo-tiroidismo infatti basta dosare il TSH e l’Ft4. Per l’ipotiroidismo da tiroidite cronica, soprattutto in chi ha fami-liarità bisogna effettuare gli esami anticorpali della tiroide, antitireoglo-bulina ed antiperossidasi.

Senta Dottore ma è vero che l’ipo-tiroidismo colpisce più che altro le donne?L’ipotiroidismo colpisce entrambi i sessi ed in qualsiasi fase della vita, tuttavia le donne sono colpite nel

rapporto di 4 e gli uomini di 1dalla tiroidite cronica di Hashimoto, che è la causa più frequente di l’ipotiroidi-smo dell’età adulta.

I sintomi dell’ipotiroidismo quali sono?L’ipotiroidismo porta gradualmente ad un rallentamento del cataboli-smo con sintomi fisici e psichici la cui gravità e correlata all’epoca di insor-genza. Se l’ipotiroidismo avviene nel feto si possono avere danni cerebrali che se non corretti possono arrivare a forme di “cretinismo”; nell’infan-zia a deficit di crescita, etc. Bisogna distinguere tra forme iniziali det-te “pre-cliniche” ove i sintomi sono praticamente sfumati oppure assenti a forme conclamate “cliniche” i cui sintomi sono astenia, riduzione del-la concentrazione, ritenzione idrica, aumento del colesterolo e trigliceri-di, bradicardia, disturbi sessuali, di-sturbi mestruali, infertilità.

Lo stile di vita incide in questa pa-tologia Dottor Gentile?L’ipotiroidismo può trarre beneficio da uno stile di vita sano ma uno stile

di vita corretto non ci mette a riparo dall’insorgenza dell’ipotiroidismo.

Ci sono anche ipotiroidismi con-geniti?L’Ipotiroidismo Congenito (IC) pri-mario è la più frequente endocrino-patia dell’età evolutiva causata da alterazioni nella embriogenesi della ghiandola tiroidea che portano ad un’ assenza della ghiandola stes-sa (agenesia), ipoplasia, ad abbozzi tiroidei in sede ectopica (ectopia), generalmente insufficienti ad assicu-rare un normale apporto di ormoni tiroidei. Più raramente l’IC è provo-cato da un deficit geneticamente determinato di enzimi deputati alla sintesi degli ormoni tiroidei. L’ipo-tiroidismo secondario sono forme più rare e dipendono da un deficit congenito dell’asse ipotalamo-ipo-fisario.

Intervista a cura di Cinzia Mortolini

Dott. Santo GentileStudio medico “Panacea” 00126 - via Pio Paschini n°73

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SINDROMECOLONdel IRRITABILE

he cos’è la patologia del colon irritabile Dottor Scuotto?

Il colon irritabile non è una vera e propria patologia ma una sindrome, in quanto sindrome è un insieme di sintomi. Non è una malattia ad ezio-logia precisa, ben definita, come può essere ad esempio la polmonite da pneumococco. Da un punto di vi-sta fisiopatologico è un disturbo del tutto funzionale, cioè un insieme di manifestazioni che non hanno un’al-terazione visibile, non c’è una lesione d’organo. Dal punto di vista statisti-co colpisce più del 10% della popo-lazione dei paesi sviluppati, con lieve preferenza per il sesso femminile, interessa tutte le fasce di età, preva-lentemente quella media, prima dei cinquant’anni.

I sintomi Dottor quali sono?I sintomi sono fondamentalmente legati alla modificazione delle abi-tudini dell'evacuazione del soggetto, in pratica la presenza di stipsi e/o diarrea, associate alla sensazione di fastidio addominale che può arriva-re anche a sintomatologia dolorosa, crampi: condizioni di preoccupazio-ne per quanto riguarda la persona

Dottor Alessandro Scuotto, specializzato in Gastroenterologia ed endoscopia digestiva, perfezionato in Agopuntura, Auricoloterapia, Omeopatia. Si occupa da molti anni di Psicosomatica e di Psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI). Docente di Anatomia e Fisiopatologia all'Università LudeS di Lugano. Fondatore e presidente dell'Associazione Culturale Interdisciplinare Altanur. Napoletano, vive e lavora a Como.

che ha sensazioni di questo tipo.In linea di massima possiamo dire che ci sono due aspetti fondamen-tali:

- Dolore e fastidio all’addome.- Variazioni delle abitudini dell’evacuazione.

La componente neurovegetativa, l’aspetto psicologico in questa sindrome è rilevante?Sì è rilevante. Bisogna fare però un piccolo distinguo nell’ambito della medicina psicosomatica moderna perché ormai non si considerano più le patologie organiche o le patolo-gie funzionali come una diretta con-seguenza di un fenomeno psichico, ma come un parallelo, un qualche cosa che le accompagna. Sogget-ti che hanno alcuni aspetti rilevanti sul piano psicologico possono avere problemi sul piano somatico, in que-sto caso intestinali. Non è corretto dire che il soggetto ha l’ansia che gli provoca il colon irritabile, possiamo invece identificare in soggetti che hanno questa sintomatologia, il co-lon irritabile, un elevato carico d’an-sia, quindi una sopportazione allo stress più bassa della norma. Sono

soggetti in cui si innesca un circolo vizioso, c’è un aspetto psicosoma-tico, aspetti psicologici connessi al disturbo somatico, e un ritorno so-matopsichico. Il problema somatico, in questo caso il dolore addominale e la presenza di alterazioni delle feci, è un presupposto per un aumento dell’ansietà, del disagio psicologico. Si può intervenire bene se questo circuito tra la condizione psicologi-ca, in genere ansiosa, e la condizio-ne somatica può essere in qualche modo interrotta.

Quali sono gli esami da effettuare per evidenziare questa sindrome?La sindrome è una condizione fun-zionale, la diagnostica corretta si basa sull’esclusione di tutti quel-li che sono gli aspetti organici che hanno sintomi sovrapponibili. Se il soggetto ha una malattia organica, una colite infettiva, colite ulcerosa o un’ulcera, o un reflusso esofageo… La presenza di queste patologie og-gettivabili esclude la presenza di co-lon irritabile.

Dottore parliamo di terapie… principi naturali, fermenti lattici, vitamine possono aiutare?

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M croScopiogastroenterologia

Dal panorama delle vitamine non ci sono indicazioni. I prodotti fitotera-pici o naturali si basano sugli stessi principi farmacologici dei farmaci di sintesi, hanno un’azione antispastica o modulante sulla funzione dell’inte-stino. I fermenti lattici, cioè i probio-tici, invece possono avere un ruolo, così come i prebiotici, sostanze ca-paci di stimolare selettivamente l'at-tività dei batteri intestinali. Tutto ciò al fine di riequilibrare una flora bat-terica che si presuppone squilibrata. Il fatto che si presupponga squili-brata è in genere abbastanza vero, non è sempre chiaro però se questo squilibro causa i sintomi o se il tran-sito intestinale alterato causa un’al-terazione della flora batterica.

Parlando di prevenzione dottore, la dieta? Elementi da evitare?Questa è una domanda frequentis-sima da parte dei pazienti perché purtroppo abbiamo un’inclinazione storica a considerare che i disturbi sono causati da qualcosa di ester-

no. Un po’ come le malattie infettive, dove il batterio provoca l’infezione. Si pensa che se si elimina un alimen-to particolarmente irritante elimino il problema. In realtà nella sindrome del colon irritabile non esiste un cri-terio generico di eliminazione degli alimenti, ma è vero che esistono de-gli alimenti che più frequentemen-te, da un punto di vista statistico, si associano a problemi. Il punto è che questa serie di alimenti è stretta-mente individuale. Ci sono persone che hanno una particolare suscetti-bilità ad alcuni componenti alimen-tari. Quindi dire ad una persona che i legumi favoriscono la fermentazione intestinale è corretto, ma dire che nella sindrome del colon irritabile bisogna eliminare questo o quell’ali-mento in senso generico non è asso-lutamente corretto. La prevenzione è assolutamente individuale.Dal punto di vista omeopatico c’è un miglioramento, una cura ri-guardo a questa sindrome?C’è la possibilità di inquadrare la sin-

drome dal punto di vista omeopatico correttamente. Chiaramente anche questo è strettamente individuale perché dipende da tantissime carat-teristiche che ha il soggetto. Abbia-mo prima accennato al soggetto an-sioso per esempio o particolarmente disposto in senso psicologico quindi bisognerà intervenire tenendo con-to di queste caratteristiche. Al di là di questo, proprio dal punto di vista di immediata soluzione degli aspet-ti sintomatici ci sono sicuramen-te principi omeopatici, penso per esempio alla Nux Vomica, al Cuprum che hanno un’azione molto precisa sia nella motilità gastrointestinale, sia sulla compnente spastica, dolo-rosa.

Intervista a cura di Cinzia Mortolini

Dott. Alessandro Scuotto22100 Como - Via G.B. Grassi 16

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M croScopio

A Roma ci si riferisce all’ictus con il termine gergale e ca-ratteristico di “coccolone”.

“Se non mi viene il coccolone - disse un simpatico e disinvolto Professore di Patologia Generale, durante una delle sue lezioni a Roma - finiremo degnamente quest’anno accademi-co, avendo perfino un’idea delle ma-lattie da deposito”. Noi invece le ma-lattie da deposito non le facciamo, e ci accontentiamo di sapere che il co-siddetto coccolone è un grosso em-bolo che ostruisce in modo improv-viso un vaso sanguigno, più spesso un’arteria. L’embolo è un gruppo di piastrine che hanno aderito tra di loro, formando una sorta di grumo (una specie di ammasso viscoso) viaggiante nel torrente sanguigno. Parliamo quindi di un danno gra-ve al cervello. D’altra parte, nei se-coli e nei vari luoghi, l’ictus è stato chiamato con i nomi più disparati, come lo “stroke “ degli anglosasso-ni o il più comune “colpo “, o colpo apoplettico, o apoplessia, o attacco apoplettico, o ictus ischemico o ictus emorragico, nonché TIA o attacco ischemico transitorio nei casi in cui dura meno di 24 ore o addirittura pochi minuti. Ippocrate fu il primo a descrivere l’improvvisa paralisi che

ICTUSUNA DIETA PER PREVENIRE

di Marco Nicoletti e Paolo Nicoletti Che cos’è l’ictus? L’ictus, così ben descritto nel dialetto romanesco, tramite intercalari che ricorrono a volte anche nei sonetti del simpatico Trilussa, è un evento sinistro, ma a volte prevenibile. Ecco una dieta che in taluni casi potrebbe prevenire questo spiacevolissimo sintomo (collegato a malattie da deposito, come l’aterosclerosi)

“ “spesso si associa allo stroke.Il risultato è purtroppo immediato, ed il paziente (o la paziente ) passa rapidamente a miglior vita. Il termi-ne “ passare” è impiegato dal Tasso, nella “Gerusalemme liberata” : “In questa forma passa la bella donna, e par che dorma. “ Ma non diva-ghiamo. Diciamo invece che in taluni pazienti è sufficiente un piccolo em-bolo per provocare l’ictus : infatti ci riferiamo a coloro i quali hanno già un’aterosclerosi. Quando gli studenti di Medicina si trovano al terzo anno, e c’è la lezione di Patologia Generale, quasi tutti fingono di sapere (a le-zione) cosa sia l’aterosclerosi.“Oh meschinetti noi! – ci dicevamo - Solo noi non lo sappiamo. “Poi vedevamo che il Professore lo chie-deva ad uno a caso, e quest’ultimo rispondeva con tranquilla sicurezza : ”E’la perdita di elasticità di un’arteria, che non effettua più i suoi normali movimenti. “Ma bravo ! – gli faceva il Professore – Solo che quella non

è l’aterosclerosi ! E’l’arteriosclerosi. Ti chiederò l’aterosclerosi all’esame. “A quel punto riprendevamo animo: in fondo noi almeno ci eravamo resi conto di non saperlo. L’aterosclerosi è quindi il deposito di colesterolo e trigliceridi nel lume di un’arteria, lungo un tratto del suo cammino, che spesso è una biforca-zione o una curva. Questo deposito crea un’ostruzione parziale dell’arte-ria, così che basta un piccolo embolo per ostruirla improvvisamente, e, se si tratta di un’arteria cerebrale, per dare morte cerebrale. Infatti, niente sangue, dunque niente ossigeno. Ed ecco purtroppo un’altra fattispecie di ictus. E vediamo ora alcune ipotesi di die-ta adoperate nel passato, che qui si riportano a puro titolo di documen-tazione. Ovviamente i colleghi sono invitati a non prescrivere tale dieta senza il consulto o il parere dell’An-giologo, o del radiologo che visiona le PET (tomografie con emissione di

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M croScopioprevenzione

positroni), o di altro specialista even-tualmente competente. Le Vitamine del gruppo B e la Vita-mina C (500 milligrammi al dì ) sono necessarie per la salute generale dei vasi sanguigni. La Niacina, detta anche Vitamina B3, abbassa il cole-sterolo. La Vitamina E (400 Unità In-ternazionali al giorno) può aiutare a prevenire i grumi, riducendo il fab-bisogno di ossigeno. Una corrente del pensiero scientifico, abbastan-za vasta (siamo all’inizio del 2011) consiglia l’assunzione quotidiana di 3 grammi di olio di pesce: assunti in perle (che sono simili alle capsu-le molli) ci assicurano la giusta dose di Ω-3 necessari per ottenere delle prestazioni cerebrali migliori e più efficienti [si veda a questo proposito l’articolo già pubblicato nel 2010 sulla rivista online: microscopionline.net : “Il cibo per il cervello”]. Sono indicati anche pochi grammi di lecitina di soia granulare al giorno

o addirittura anche solo un mezzo cucchiaino da thè, atteso che il con-tenuto della lecitina di soia in fitoe-strogeni non è da sottovalutare: pos-sono essere messi sulla superficie di una tazza di latte in cui il lattosio è stato scisso in due zuccheri semplici. La lecitina di soia granulare abbassa il livello del colesterolo ematico. Dosi quotidiane di 400 milligrammi di magnesio, selenio, e potassio pro-teggono dall’ictus. Inoltre il livello del colesterolo non deve essere tenuto troppo basso. Se scende troppo, si può causare la rottura dei vasi sanguigni, in quanto indeboliti infatti il colesterolo è uno dei costituenti essenziali delle mem-brane cellulari. Questa rottura po-trebbe provocare emorragie, o ictus emorragici. Perciò non è consigliabi-le far scendere il colesterolo sotto i 160 milligrammi per 100 millilitri di sangue. Il consumo quotidiano di frutti ricchi di potassio, come una ba-

nana, un paio di albicocche secche, o una fetta di melone, aiuta a pre-venire l’ictus.Una porzione al giorno (80 - 90 grammi ) di carote oppure di spinaci (verdure contenenti nume-rose sostanze anti-ossidanti, le quali combattono i radicali liberi ) può ri-durre, con buone probabilità, questo rischio. Parimenti diminuiscono que-sto rischio il frutto dell’avocado, ed i fagioli cannellini, presi a quantità di 90 - 100 grammi, per un individuo di 70 chili. L’aglio e le cipolle contribu-iscono a ridurre il colesterolo ema-tico. E’ preferibile usare olio extra-vergine di oliva, potendo scegliere. Una discreta corrente del pensiero scientifico attuale ritiene positivo il consumo di sardine, sgombro o pe-sce spada, almeno una volta a setti-mana. Il tè verde, preso in dosi molto pic-cole, e cioè non più di una tazza a settimana, ha dimostrato proprietà di prevenzione nei riguardi dell’ictus.

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GRITIMMOBILIARE

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l nostro sistema immunitario è messo a dura prova ogni giorno a causa delle numero-se tossine che introduciamo con il cibo. Esiste una immunità innata costituita da cellule geneticamente ereditate. Ne fanno parte macrofagi e neutrofili che hanno il compito di

fagocitare i microrganismi e i prodotti di scarto delle nostre cellule. Un altro meccanismo di-fensivo è rappresentato dalle cellule natural killer che sono in grado di distruggere le cellule infettate da virus che si sono trasformate in cellule patogene appartengono alle NK natural killer linfociti. Eosinofili, basofili, cellule mastoidi completano il sistema difensivo.i protagoni-sti dell’immunità acquisita sono i linfociti in particolare i T helper e i linfociti B . I T helper si suddividono in Th1 Th2 Th3 .I Th2 prediligono le mucose specie quella intestinale, le intolle-ranze alimentari sono risposte Th2. quando nell’intestino diminuisce la buona flora batterica (disbiosi evidenziata con un semplice esame delle urine) i batteri miceti prendono il soprav-vento e avremo dei disturbi (coliti, gastrite, cistite, vaginite) molto spesso i carboidrati se assunti in eccesso favoriscono la proliferazione dei miceti (Candida albicans) anche i prodotti da forno lievitati portano alla candida . Il test alcat sulle intolleranze alimentari mi permette di stabilire il momento che stiamo attraversando e mi permette di impostare una dieta perso-nalizzata al paziente (vedi sito web olgafraschini.net alla voce test alcat ). Osservare la pelle della persona che soffre mi permette di vedere se c’è un carico di tossine intestinali e quindi è importante drenare le tossine attraverso gli organi emuntori (pelle, reni, intestino) altro momento è la disintossicazione agendo sul fegato. Modulare il sistema endocrino in base al sesso della persona, regolare il sistema immunitario con le citochine regolare il sistema ner-voso con neuropeptidi infine portare ossigeno alle nostre cellule affinché la “centralina “ che sono i mitocondri possano lavorare a meglio. Porto avanti la così detta medicina fisiologica di regolazione

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M croScopio Ricerca M croScopio

on la stagione primaverile alle porte, con-sigli e rimedi per il popolo degli allergici. Schiavino (Servizio di Allergologia del Ge-

melli): “attenzione a graminacee e parietaria, per limitare i danni solo terapie sintomatiche; per pro-teggersi con il vaccino (disponibile anche in gocce o compresse sublinguali) ora è tardi e bisognerà aspettare il prossimo autunno per farlo. No al fai da te”.

Buone notizie per il ‘popolo’ degli allergici, alme-no per il momento. Le piogge insistenti e il freddo dei primi giorni di gennaio, nonché le basse tem-perature di questi giorni hanno infatti contenuto molto la quantità dei granuli dei pollini allergeni-ci in atmosfera, dando la possibilità ai milioni di italiani che soffrono di allergie di tirare un, breve, sospiro di sollievo. Breve perché, comunque, an-cora in queste settimane si stanno manifestando le tipiche pollinosi ‘invernali’ causate dal polline di cipresso, i cui effetti sull’uomo sono spesso con-fusi dalla coincidenza con i sintomi influenzali, ca-ratteristici di questo periodo dell’anno. Ma con il prossimo arrivo della primavera, liberandosi nell’a-ria i pollini, si scateneranno i tipici, fastidiosissimi sintomi della stagione delle fioriture: starnuti, pru-rito, arrossamento degli occhi, lacrimazione, respi-ro affannoso, asma, che rendono difficile a chi ne soffre la quotidianità.

Con la stagione della fioritura alle porte, il punto sugli effetti delle pollinosi con il professor Domenico Schiavino, direttore del Servizio di Allergologia del Policlinico universitario A. Gemelli di Roma.

Attenzione alle graminacee, il peggiore nemico per gli allergici in primavera, soprattutto nel Nord Italia. Rischio febbre da fieno.“Il prevedibile repentino aumento della tempera-tura, la presenza di vento e il clima secco saranno i segnali di ‘allarme rosso’ per la diffusione nell’aria

BASSE TEMPERATURE E PIOGGE ALLONTANANO (PER ORA) LE CRISI ALLERGICHE DA POLLINOSI

dei granuli pollinici, soprattutto delle graminacee”, spiega il docente di allergologia e immunologia clinica della Cattolica di Roma. I pollini di grami-nacee sono la principale causa di pollinosi in Italia. Sono, infatti, presenti a tutte le latitudini anche se la loro prevalenza è maggiore nell’Italia setten-trionale (70–85%) e nel Centro (60–75%) rispetto al Sud e alle Isole. La fioritura inizia generalmente nel mese di aprile, con picchi a maggio e giugno. “Poiché i granuli pollinici sono di dimensioni piut-tosto grandi – aggiunge Schiavino - , provocano di solito sintomi a carico della mucosa congiuntivale e nasale, come starnuti, ostruzione nasale e rinor-rea (è la sintomatologia della famosa hay fever de-gli anglosassoni, la febbre da fieno, nonostante la comparsa della febbre sia eccezionale). ….. e nel periodo estivo occhio a parietaria e al-ternaria.“Come i soggetti allergici hanno già sperimentato sulla propria pelle – prosegue Schiavino - le spore di alternaria e il polline di parietaria sono abbon-dantemente presenti nell’atmosfera durante il pe-riodo estivo”. La parietaria è una pianta infestante simile all’ortica, meglio conosciuta anche con il nome di erba muraiola. È molto diffusa al di sot-to dei 1000 m di altitudine nel Sud d’Italia e nel-le zone costiere mediterranee, dove si nota quasi ovunque, specialmente alla base dei muri soleg-giati, in luoghi incolti vicino a ruderi, tra pietra e

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terra, difficilmente a contatto con asfalto e ce-mento. Mutamenti climatici, aumento e maggiore durata delle allergie da pollini. “Anche il mutare del clima, il global warming - precisa Schiavino - ha favorito negli ultimi anni un progressivo au-mento della parietaria anche nel Nord Italia, ove si nota inoltre una maggiore durata della pollina-zione rispetto al passato, con persistenza di valori elevati di polline fino a ottobre”. I rimedi: terapie sintomatiche e vaccino (ma ora è tardi per farlo). “In questa fase dell’anno i soggetti allergici ai pol-lini possono ricorrere solo a terapie farmacologi-che sintomatiche con antistaminici, antileucotrie-nici, cortisonici nasali e eventualmente cortisonici inalatori e broncodilatatori – consiglia l’allergolo-go Schiavino – ma l’unica terapia eziologica, cioè l’unica terapia in grado di eliminare il problema alla ‘radice’, e di modificare la storia naturale della patologia, consiste nell’indurre uno stato di tolle-ranza nei confronti del polline. Questo obiettivo può essere raggiunto con l´immunoterapia spe-cifica (ITS), comunemente definita vaccino”. Tale trattamento, fino a poco tempo fa, si sommini-

strava solo per via sottocutanea costringendo il paziente a recarsi necessariamente all’ambulatorio allergologico, in quanto potenzialmente capace di indurre effetti collaterali anche importanti. “Oggi invece si stanno diffondendo anche vaccini in goc-ce o compresse da assorbire sotto la lingua, che si possono assumere a casa e sono alquanto privi di effetti collaterali. Il vaccino va iniziato prima della stagione pollinica e per avere risultati evidenti va protratto per 3-5 anni, ma la sospensione del trat-tamento va valutata caso per caso”. Purtroppo, in qualche caso il paziente pollinotico tende ad au-tomedicarsi nel periodo critico e a dimenticare poi la sua patologia, sottovalutandola. “È opportuno - conclude l’esperto - che chi soffre di pollinosi, se vorrà fare il vaccino, dovrà sottoporsi a esami allergologici il prossimo autunno”.

Dr. Nicola CerbinoResponsabile Ufficio StampaUniversità Cattolica Sede di Romae Policlinico universitario “Agostino Gemelli”www.rm.unicatt.it - www.policlinicogemelli.it

TELETHON

alla ricerca sulle malattie rare nuova luce su una delle malattie metaboliche più dif-fuse nel mondo, il diabete mellito di tipo

2*: il gruppo di ricerca dell’Università di Catanzaro “Magna Græcia” coordinato da Antonio Brunetti ha scoperto che in un diabetico su dieci è presente

SCOPERTA UNA “FIRMA GENETICA” DEL DIABETEPartendo dallo studio di rare forme eredi-tarie di resistenza all’insulina, ricercatori calabresi hanno trovato un’anomalia ge-netica presente nel 10% delle persone con diabete di tipo 2

una sorta di “firma genetica” che aumenta di sedi-ci volte il rischio di sviluppare questa malattia, che nel mondo colpisce 250 milioni di persone.Pubblicato sulle pagine del Journal of American Medical Association (JAMA), lo studio** è stato finanziato anche da Telethon e ha coinvolto qua-si 9000 pazienti diabetici, di cui 4000 italiani. Da

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molti anni Brunetti studia la resistenza all’insuli-na, ovvero la ridotta risposta dei tessuti all’azione dell’ormone che controlla i livelli di zucchero nel sangue. Questo fenomeno, tipico delle persone affette da diabete di tipo 2, si riscontra in modo ancora più accentuato in alcuni individui affetti da rare malattie genetiche come la sindrome di insu-lino resistenza e acanthosis nigricans di tipo A, il leprecaunismo e la sindrome di Rabson-Menden-hall. «Queste forme rare si sono rivelate un ottimo modello sperimentale per lo studio del diabete» spiega Brunetti. «Grazie al supporto di Telethon, nel 2005 abbiamo dimostrato come la resistenza all’insulina può dipendere da alterazioni nel gene HMGA1, che contiene le informazioni per una pro-teina che “accende” il gene per il recettore dell’in-sulina, la molecola che si affaccia fuori dalla cellu-la, cattura l’ormone, traduce il suo messaggio e lo trasmette all’interno della cellula».Scoperta questa alterazione in 4 pazienti affetti da forme rare di insulino-resistenza, Brunetti e colla-boratori si sono chiesti se questo difetto potesse essere riscontrato anche nella forma più comune della malattia, per la quale ancora oggi la causa non è ben nota. Per cercare una correlazione tra la malattia e difetti nel gene HMGA1, i ricercatori ca-labresi hanno quindi raccolto una casistica molto ampia di pazienti diabetici: 3278 pazienti italiani, 970 americani e 354 francesi, e oltre 4000 indivi-dui sani di controllo. Studiandone il patrimonio genetico, Brunetti e il suo gruppo hanno scoperto come circa il 10% delle persone affette da diabe-te di tipo 2 presenti varianti funzionali del gene HMGA1. «Questo risultato ha delle grandi ricadu-te nella pratica clinica» spiega il ricercatore. «Fino ad oggi non era mai stato individuato un fattore genetico con un’associazione così forte con la ma-lattia. Innanzitutto la presenza di queste varianti potrà servire come indicatore precoce del diabete di tipo 2, specialmente negli individui con familia-rità diabetica». Ma non è tutto: anche la risposta ad eventuali te-rapie farmacologiche e la progressione della ma-lattia con gli anni possono essere influenzate dalla presenza di questi determinanti genetici. «Questo lavoro è un ottimo esempio di come lo studio delle

malattie rare possa avere ricadute molto più am-pie e fare luce su patologie che colpiscono invece milioni di persone nel mondo. Il prossimo passo sarà andare a fondo dei meccanismi con cui difetti nel gene HMGA1 rendono l’organismo resistente all’azione dell’insulina, in modo da poter disegna-re in futuro terapie specifiche per questo tipo di pazienti diabetici», conclude Brunetti. Ufficio stampa Telethon: Filippo degli Uberti Anna Maria Zaccheddu Ufficio stampa Università di Catanzaro: Vittorio Scerbo

* Il diabete mellito è una malattia cronica carat-terizzata dalla carenza o dal malfunzionamento dell’insulina, un ormone prodotto dal pancreas che consente al glucosio di entrare nelle cellule dell’or-ganismo, dove viene utilizzato come fonte energeti-ca. Se l’insulina è poca o funziona male, il glucosio non entra nelle cellule e si accumula nel sangue. Mentre nel diabete di tipo 1 l’insulina manca del tutto, nel tipo 2, la forma più comune, l’insulina viene prodotta normalmente, ma le cellule dell’or-ganismo non rispondono adeguatamente al se-gnale ormonale. Se non viene trattato in maniera appropriata, il diabete mellito può determinare la comparsa di tipiche complicanze croniche a carico di occhi, reni, cuore, vasi sanguigni, nervi periferici. Le cause precise dell’insorgenza del diabete mellito non sono ancora note: ad oggi, però, i ricercatori concordano sul fatto che si tratti di una malattia multifattoriale, dovuta alla concorrenza di fattori genetici, ambientali e comportamentali (obesità, iperalimentazione e vita sedentaria).

** E. Chiefari, S. Tanyolaç, F. Paonessa, C. Pullin-ger, C. Capula, S. Iiritano, T. Mazza, M. Forlin, A. Fusco, V. Durlach, A. Durlach, M. Malloy, J. Kane, S. Heiner, M. Filocamo, D. Foti, I. Goldfine, A. Brunetti, “Functional Variants of the HMGA1 Gene and Type 2 Diabetes Mellitus”. JAMA, 2011; 305 (9): 903-912.

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Riuniti i maggiori esperti al San Raffaele di Milano per delineare nuove linee terapeuticheSi è svolto al San Raffaele di Milano il primo inve-stigator meeting tra oncologi, chirurghi e patologi per tracciare un nuovo sentiero nel trattamento del tumore del pancreas.

’adenocarcinoma del pancreas è la quar-ta causa di morte per cancro; in Italia cir-ca 10.000 persone muoiono ogni anno per

questa malattia. E’ considerato il più maligno di tutti i tumori: la sopravvivenza a 5 anni dalla dia-gnosi è pari al 5%. Le cause di questa malignità sono la resistenza ai trattamenti di chemio e radio-terapia e la precoce diffusione in altri organi (an-che tumori molto piccoli, di 1 o 2 cm possono dare metastasi). Quando non sono evidenti metastasi e

TRACCIATO UN NUOVO PROTOCOLLO TERAPEUTICOTUMORE AL PANCREASCONTRO IL

il tumore non infiltra i grossi vasi che decorrono in prossimità del pancreas, il tumore può essere rimosso chirurgicamente, tuttavia la recidiva si ve-rifica ugualmente nella maggioranza dei casi. Da questi dati si capisce come la chemioterapia ab-bia un ruolo centrale nel trattamento del tumore del pancreas, anche nei casi operabili. Negli ultimi 15 anni, gli oncologi dell’Istituto Scientifico Uni-versitario San Raffaele hanno lavorato per mette-re punto schemi più efficaci di chemioterapia e i risultati di questi studi sono stati pubblicati sul-le maggiori riviste del settore (Lancet Oncology, Journal of Clinical Oncology, Cancer). Il principio su cui si è lavorato in questi anni al San Raffaele è stato quello di utilizzare 4 farmaci chemioterapi-ci diversi, anziché un solo farmaco, come avviene normalmente: in questo modo ci si aspetta che la

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chemioterapia abbia maggiori possibilità di vin-cere le resistenze delle cellule tumorali. I risultati ottenuti dagli oncologi del San Raffaele nei tumori avanzati sono stati incoraggianti e si è deciso di sperimentare lo schema di chemioterapia a 4 far-maci anche nei pazienti operabili. Lo studio è sta-to ideato dagli oncologi e dai chirurghi dell’IRCCS San Raffaele, in collaborazione con i maggiori esperti italiani e più di 25 ospedali hanno già ade-rito al protocollo. Lo studio prevede di valutare i risultati del trattamento “tradizionale” (chirurgia seguita da Gemcitabina per 6 mesi) e di altri due trattamenti “sperimentali”, basati sulla chemiote-rapia a 4 farmaci. Il primo trattamento sperimen-tale prevede di somministrare i 4 farmaci in alter-nativa al singolo farmaco Gemcitabina; il secondo trattamento sperimentale contempla due novità: non solo il trattamento a 4 farmaci, ma anche la somministrazione di metà della chemioterapia prima della chirurgia, in modo da cominciare a trattare da subito le micrometatastasi che anco-ra non si vedono, ma che nella maggioranza dei pazienti sono purtroppo già presenti al momento dell’intervento chirurgico. Afferma il Dott. Gianpa-olo Balzano, Responsabile dell’Unità Funzionale di Chirurgia Pancreatica dell’IRCCS San Raffaele: “Il

primo risultato dello studio è già stato raggiunto: è stato quello di unire nello stesso progetto più di 25 ospedali distribuiti su tutto il territorio naziona-le, una rete di specialisti con competenze diverse (chirurghi, oncologi e patologi), che hanno deciso di lavorare insieme per migliorare il trattamento attuale del cancro del pancreas”. Concorda il Dott. Michele Reni, coordinatore dell’area Scientifica dell’Oncologia Medica IRCCS San Raffaele: “E’ uno studio ambizioso, il primo di questo tipo a livel-lo mondiale, che si propone di dare risposte alla comunità scientifica internazionale sul ruolo della chemioterapia a più farmaci e di chiarire il ruolo della somministrazione della chemioterapia prima della chirurgia, per combattere precocemente le metastasi occulte”.

Per informazioni ai pazienti:tel. 02 2643 7627e-mail: [email protected]

Fondazione San Raffaele del Monte TaborDirezione Comunicazione - Ufficio Stampawww.sanraffaele.org

ggi in Italia almeno 700.000 perso-ne sono affette da forme più o meno avanzate di demenza. “La demenza di

cui la malattia di Alzheimer è la forma più comu-ne – spiega Massimo Franceschi, responsabile dell’Unità Funzionale di Neurologia dell’Ospe-

SALUTE: UN VACCINO PER PREVENIRE L’ALZHEIMER

Prevenire l’Alzheimer con un vaccino. L’Unità Funzionale di Neurologia dell’Ospedale MultiMedica di Ca-stellanza è uno dei soli quattro centri selezionati in Italia per il primo studio al mondo che si prefigge di identificare una reale prevenzione della malattia di Alzheimer e non un semplice trattamento sintomatico.

AL VIA LA SPERIMENTAZIONE PRESSO L’OSPEDALE MULTIMEDICA DI CASTELLANZA

dale MultiMedica di Castellanza - è la più grave conseguenza dell’invecchiamento, e pertanto con l’aumentare dell’attesa di vita delle nostre popo-lazioni è attesa una vera e propria epidemia di demenze nei prossimi anni. Attualmente colpisce il 7% dei soggetti fra 65 e 85 anni e il 40% degli

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ECONOMICOniente acqua da acquistarenei supermercati

SILENZIOSOnessun fastidioso rumore

IGIENICOacqua perfettemente puraper qualsiasi utilizzo

ECOLOGICOmai più bottiglie in plasticache inquinano l’ambiente

PRATICOdirettamente a casa tuasenza faticosi trasporti

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filtrata

NOI SIAMO QUELLO CHE BEVIAMO

IL CICLO DI PULIZIA DELL’ACQUA NON È PIÚ IN GRADO DI GARANTIRE ACQUA PURA A CAUSA DI VARI FATTORI: ACIDITÁ ELEVATA, INQUINAMENTO ATMOSFERICO E INFILTRAZIONE DI ELEMENTI INQUINANTI NELLA FALDA A CAUSA DI SCARICHI INCONTROLLATI

REGOLE PER SCONFIGGERE I NITRATI 1°- Evitare di bollire i cibi. La bollitura, infatti, peggiora la situazione, fa evaporare parte dell’acqua e aumenta quindi la concentrazione di nitrati. 2°- Collocare un filtro sul rubinetto, cosi è possibile depurare l’acqua dalla gran parte dei nitrati eventualmente presenti. I filtri più indicati in questo senso sono quelli a OSMOSI INVERSA o dotati di resine a scambio ionico.

La presenza di rilevanti quantità di nitrati nell’acqua è un preciso segnale di

inquinamento.

E’ diventato un problema sempre maggiore con il passare degli anni, in

parallelo con l’uso sempre più massiccio di fertilizzanti in agricoltura e con il

deterioramento del sistema fognario.

RISCHIANO SOPRATTUTTO LO STOMACO E L’INTESTINO.

Di per sè stessi i nitrati non sarebbero dannosi per la salute. Lo diventano

perché in seguito a una reazione chimica , si trasformano nell’organismo in

nitriti, che a loro volta durante la digestione , si possono trasformare in

nitrosammine, composti potenzialmente cancerogeni.

Recenti ricerche sembrano avvalorare il sospetto che ci sia un collegamento,

nel lungo periodo, tra il consumo di nitrati e il rischio di sviluppare un

tumore dello stomaco e, soprattutto, dell’intestino.

Anche perché i nitrati tendono ad accumularsi anche in verdure come bietole

e spinaci, e sono aggiunti alle carni e agli insaccati dove impediscono la

formazione del botulino, un microorganismo responsabile di gravissime

intossicazioni alimentari. Ma oltre al rischio cancerogeno, i nitrati possono

essere responsabili di intossicazioni acute. Sensibili sono le persone che

hanno scarsa acidità gasctrica, e soprattutto i lattanti e donne in gravidanza.

Il neonato assorbe per più giorni i nitrati attraverso il latte artificiale del

biberon, preparato cpmn acqua del rubinetto, rischia di più perché dispone di

una flora batterica capace di trasformare con maggiore efficacia il nitrato in

nitrito ; e perché nel sangue si sviluppa un contenuto eccessivo di

metaemoglobina, che può condurre a quello che è soprannominato “ il morbo

blu “, con grave inibizione degli scambi respiratori.

La riduzione degli scarichi agricoli e civili che sono all’origine della

liberazione dei nitrati nel terreno sembra realisticamente improbabile.

REGOLE PER SCONFIGGERE I NITRATI

1°- Evitare di bollire i cibi.

La bollitura, infatti, peggiora la situazione, fa evaporare parte dell’acqua

e aumenta quindi la concentrazione di nitrati.

2°- Collocare un filtro sul rubinetto, cosi è possibile depurare l’acqua

dalla gran parte dei nitrati eventualmente presenti.

I filtri più indicati in questo senso sono quelli a osmosi inversa o dotati di

resine a scambio ionico.

Con queste considerazioni è inevitabile quindi utilizzare a fini alimentari

un’acqua priva di candeggina e di nitrati, per bere cucinare e lavare le

verdure, cioè per la nostra salute.

Fonte: AIRC consultabile sul sito http://www.airc.it/ o sulla rivista FONDAMENTALE pubblicata dall’AIRC

Fonte: AIRC consultabile sul sito http://www.airc.it/ o sulla rivista FONDAMENTALE pubblicata dall’AIRC

L’OSMOSI INVERSAL’osmosi inversa è un processo fisico naturale ben conosciuto in natura, che opera una filtrazione molecolare a livello meccanico, ciò viene concretizzato attraverso l’utilizzo di membrane semipermeabili, le quali sono strutture che permettono il passaggio dell’acqua, trattenendo gli elementi minerali disciolti ed i batteri nocivi per la salute.L’acqua così prodotta è della migliore qualità, indipendentemente dalle caratteristiche dell’acqua in ingresso, è oligominerale ed adatta a bambini piccoli, donne in stato di gravidanza e persone anziane, con la peculiarità, a differenza delle acque in bottiglia, di non avere mai preso luce solare e di non essere stata esposta a fonti di calore (così come scritto e consigliato su tantissime acque in bottiglia) in quanto pompata direttamente dal pozzo dell’acquedotto ai vostri rubinetti di casa.

VIRUS BATTERI(da 0,1 a 1 micron)

PROPORZIONE TRA IL FORO DELLA MEMBRANA E LA GRANDEZZA DI VIRUS E BATTERI

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ultranovantenni, ma in realtà il processo patologi-co che conduce all’Alzheimer inizia decenni prima dell’insorgere dei sintomi”. Attualmente si stanno studiando farmaci da utilizzare in soggetti a ri-schio prima dell’inizio dei sintomi della demenza, quando la dotazione neuronale è ancora relativa-mente integra. “I pazienti con il cosiddetto Mild Cognitive Impairment (MCI), cioè con sintomi di amnesia chiara ma non ancora invalidante - prose-gue Franceschi - e con certe caratteristiche geneti-che, liquorali ed ipotrofia dell’ippocampo evidente alla risonanza magnetica, sono soggetti con un alto rischio di sviluppare una malattia di Alzhei-mer”. La casa farmaceutica Roche ha recentemen-te sviluppato un vaccino in grado di “sciogliere” le placche senili, che sono ritenute la base patoge-netica della malattia, e quindi in linea teorica, in grado di fermare il procedere della patologia che porta alla demenza di Alzheimer. Questo vaccino sembra essere molto ben tollerato ed esente dai rischi che in passato avevano presentato farmaci analoghi. Roche ha identificato 63 centri in tutto il mondo cui affidare la grande sfida di dimostrare che questo vaccino è in grado veramente di pre-venire la malattia di Alzheimer in soggetti ad alto rischio come quelli con MCI. Tra questi l’Ospedale

MultiMedica di Castellanza. “Abbiamo cominciato a reclutare pazienti selezionati - spiega France-schi -, ad alto rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer e privi di controindicazioni di natura medica, che saranno sottoposti a iniezioni sotto-cutanee mensili di vaccino nei prossimi due anni. Trattandosi di uno studio in fase 2a, le misure atte ad identificare immediatamente eventuali effetti indesiderati saranno numerose ed accuratissime”.Tutte le visite, il vaccino e gli esami di laboratorio necessari saranno gratuiti sia per il paziente che per il Sistema Sanitario Nazionale.Da dicembre 2010 è iniziata la selezione dei pa-zienti presso l’Unità Funzionale di Neurologia, grazie all’aiuto dei Medici di Medicina Generale e di altri Centri Neurologici della zona.

Ufficio Stampa Gruppo MultiMedica c/o Klaus Davi & Co:Paolo Steila e-mail: [email protected]

Ufficio Relazioni Esterne e Uff. Stampa Gruppo Mul-tiMedicaAlessandra Maestri - Pierluigi Villa - e-mail: [email protected]@multimedica.it

linical Cancer Research pubblica lo studio che dimostra come la chemioresistenza nelle neoplasie dell’ovaio viene superata

bloccando il recettore dell’endotelina-1Uno studio condotto da ricercatori dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena getta nuova luce sui meccanismi molecolari che causano la chemio-resistenza nei tumori ovarici. La neoplasia ovarica è la più aggressiva tra i tumori ginecologici con

REGINA ELENA: TUMORI OVARICI SCOPERTO IL MECCANISMO CHE CONSENTE DI

AGGIRARE LA RESISTENZA AI FARMACI

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165.000 nuovi casi nel mondo e 4.000 in Italia, di primaria importanza sono quindi gli studi preclini-ci e clinici rivolti a identificare nuove terapie capaci di contrastare la comparsa della chemioresisten-za. I risultati pubblicati su Clinical Cancer Research indicano come il farmaco molecolare zibotentan, agendo da inibitore del recettore dell’endoteli-na-1, riesca a ripristinare la sensibilità ai chemio-terapici nelle recidive di carcinoma ovarico che-mioresistenti e mandare così in apoptosi la cellula neoplastica. Nonostante i progressi raggiunti nel trattamento medico dei tumori ovarici ancora un’alta percen-tuale delle pazienti mostrano una ricomparsa del cancro a causa dell’instaurarsi della resistenza ai farmaci chemioterapici. Lo studio coordinato dalla Dr.ssa Anna Bagnato e condotto dalla dr.ssa Laura Rosanò insieme ad altri ricercatori del laboratorio di Patologia Molecolare dell’Istituto Regina Elena, apre nuove prospettive sui meccanismi molecolari che stanno alla base della chemioresistenza spes-so sviluppata dalle donne affette da carcinoma ovarico. La ricerca ha raggiunto tre traguardi: l’identifica-zione del recettore dell’endotelina come marca-tore associato alla comparsa della resistenza al farmaco; ha illustrato il meccanismo responsabile dell’acquisizione della chemioresistenza e della transizione epitelio-mesenchimale (EMT), proprio il processo attraverso il quale le cellule tumorali non rispondono più al trattamento farmacologi-

co, diventano più aggressive ed acquisiscono le caratteristiche di cellule staminali; ed infine l’effi-cacia di un nuovo farmaco, lo zibotentan, già in corso di sperimentazione a livello internazionale. Il farmaco molecolare bloccando selettivamente il recettore A dell’endotelina, in terapia combinata con paclitaxel e carboplatino, i più utilizzati per il trattamento del carcinoma ovarico, ha di fatto ripristinato la sensibilità a questi due chemiotera-pici. “Un’aumentata funzionalità del recettore A dell’endotelina, - spiega la Dr.ssa Bagnato- che è overespresso nei carcinomi ovarici chemioresi-stenti, attiva i meccanismi che promuovono l’EMT e impedisce ai farmaci citotossici di eliminare le cellule tumorali. Ora sappiamo che il blocco del recettore A dell’endotelina può permettere al far-maco di mandare in apoptosi la cellula neoplastica e può rappresentare una scelta appropriata nel trattamento del carcinoma ovarico per aggirare e sconfiggere la farmaco resistenza.” Il progetto è stato finanziato dall’AIRC, a conferma dell’impegno dell’Associazione nel sostenere la ri-cerca traslazionale, che porta lo studio dei mecca-nismi molecolari di base ad applicazioni terapeuti-che utili per i pazienti.

Riferimenti articolo Clin Cancer Res. 2011 Jan 10. Acquisition of che-moresistance and EMT phenotype is linked with activation of the endothelin A receptor pathway in ovarian carcinoma cells.Rosano L, Cianfrocca R, Spinella F, Di Castro V, Ni-cotra MR, Lucidi A, Ferrandina G, Natali PG, Bagna-to A. Molecular Pathology Lab., Regina Elena Can-cer Institute.

Lorella SalceCapo Ufficio StampaIstituto Nazionale Tumori Regina ElenaIstituto Dermatologico San Gallicanowww.ifo.it

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’impianto del neuro stimolatore ha già dato ottimi risultati in 80.000 pazienti trattati nel mondo attraverso la chirurgia stereotassica

Grazie ad una consolidata esperienza nella chi-rurgia stereotassica delle patologie neuro-onco-logiche, presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’istituto Nazionale Regina Elena (IRE) prende il via la Stimolazione Cerebrale Profonda che offre una nuova opportunità di trattamento per i pa-zienti affetti da Parkinson che non rispondono più alle terapie farmacologiche. In Italia oltre 200 mila persone sono colpite dalla Malattia di Parkinson, patologia neurologica degenerativa che colpisce in genere la popolazione oltre la sesta decade, mentre per il 25% dei pazienti l’esordio avviene prima dei 50 anni. Ad oggi non esiste una cura preventiva e le cause sono in larga misura igno-te. A livello cerebrale si osserva la degenerazione di alcuni neuroni deputati a rilasciare la dopamina e un’alterata comunicazione nei circuiti addetti al controllo motorio. I primi impianti di un pacemaker collegato ad elettrodi cerebrali profondi sono stati effettuati alcune settimane fa nel nostro Istituto dal prof. Carmine Carapella, Neurochirurgo del Regina Elena, in collaborazione con il dott. Carlo Colosimo, neurologo dell’Università La Sapienza. “Il primo intervento in assoluto - ci ricorda il prof. Carapella, responsabile della Sezione di Neuro-chirurgia Stereotassica presso il Dipartimento di Neuroscienze IRE- è stato realizzato dal Professor Benabid a Grénoble in Francia oltre 20 anni fa. Da allora molti centri neurochirurgici in Europa e nel resto del mondo hanno adottato questa procedu-ra. In Italia, e in particolar modo nel Centro-sud, non sono ancora molti i Centri in grado di propor-re la stimolazione cerebrale profonda come opzio-ne terapeutica e di fornire ai pazienti tutte le valu-tazioni necessarie nelle fasi pre e post-chirurgiche

REGINA ELENA: AL VIA LA STIMOLAZIONE CEREBRALE PROFONDA EFFICACE NELLA

MALATTIA DI PARKINSON

(cliniche, neuropsicologiche, di imaging). I risultati ottenuti negli oltre 80.000 pazienti trattati in tutto il mondo ci confermano che la stimolazione cere-brale profonda è un trattamento efficace, sempre se gestito da un’equipe qualificata di neurochirur-ghi e neurologi.”La metodica consiste nell’impianto intracerebrale in una piccola area del talamo o dei gangli della base di un elettrodo stimolante collegato ad un pacemaker. Lo stimolo elettrico indotto in una zona del cervello che funge da relais su alcuni cir-

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cuiti del movimento aiuta a controllare i sintomi della malattia e consente di ridurre l’uso dei far-maci specie quando responsabili di effetti poco desiderabili (disturbo dei movimenti volontari, turbe del comportamento). Poiché non vi è in que-sto momento alcuna cura per la Malattia di Par-kinson e non vi è alcun mezzo per prevenire la sua progressione, l’obiettivo del trattamento è quello di gestire i sintomi, rinviare il più a lungo possibile il loro peggioramento e ridurre al minimo l’insor-genza di nuovi sintomi.I pazienti che possono eseguire questo tipo d’in-tervento rappresentano fino al 10% di chi soffre di Parkinson. L’impianto è particolarmente indicato nei soggetti in cui la terapia farmacologica, a di-stanza di anni, non riesce più a gestire instabilità motorie o discinesie gravi.I risultati, valutati a distanza dall’impianto del neu-rostimolatore, evidenziano come si possa ottenere un significativo miglioramento sia della qualità di vita che delle funzioni motorie (tremore, rigidità, discinesie), con una riduzione delle dosi di terapia farmacologica dell’ordine del 50 % in media. At-tualmente, inoltre, si sta valutando la opportunità di approfondire la problematica della Stimolazione Cerebrale Profonda (DBS) non solo per la malattia di Parkinson, il tremore essenziale ed altri disturbi extrapiramidali, ma anche per le epilessie intratta-bili e per forme particolari di cefalea intrattabile.“In questi anni, abbiamo effettuato circa cinque-cento procedure stereotassiche – evidenzia il prof.

Carapella - prevalentemente finalizzate alla dia-gnosi di tumori cerebrali, allo svuotamento di tu-mori cistici ed all’infusione diretta di sostanze an-tiblastiche nel contesto del tessuto tumorale, ma anche procedure funzionali di stimolazione e di termocoagulazione per sindromi dolorose intrat-tabili quali la nevralgia del trigemino.”Come funziona la stimolazione profonda: Il ‘cuore’ dell’apparecchio è il neurostimolatore, un piccolo dispositivo in titanio, simile ad un pacemaker car-diaco, che contiene la batteria ed un microproces-sore; impiantato al di sotto della cute del torace produce gli impulsi elettrici necessari per la stimo-lazione. Quattro sono gli elettrodi terminali che, con una metodica stereotassica guidata dalle im-magini di Risonanza Magnetica, vengono impian-tati nelle aree cerebrali coinvolte nella malattia. La terapia è reversibile, infatti è possibile interrom-pere la stimolazione o rimuovere completamente il dispositivo, in qualsiasi momento. Per la riuscita ottimale dell’impianto è fondamentale un’accurata selezione dei pazienti, unitamente ad una valida integrazione tra neurochirurghi, neurologi e neu-ropsicologi.Lorella Salce

Capo Ufficio StampaIstituto Nazionale Tumori Regina ElenaIstituto Dermatologico San Gallicanowww.ifo.it

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Le malattie renali croniche dilaga-no, ignorate in 3 casi su 4, ma se si trascurano il rischio è un danno d’or-gano che può portare alla dialisi. La conferma da uno studio coordinato dal nefrologo dell’Università Cattoli-ca Gambaro.

ltre 1 italiano su 10 (il 12,7%) dopo i 40 anni soffre di una patologia renale cronica, in

un terzo dei casi dalle origini poco chiare; i tre quarti dei malati non sanno di avere un problema ai reni,

cosicché la malattia può progredire fino a costringere il paziente alla dialisi. Si tratta di quasi 4 milioni di over-40, maschi e femmine, ovvero un numero 100 volte maggiore degli italiani oggi in dialisi. Moltissimi di questi soggetti con patologia renale cronica potrebbero dunque nei prossimi anni andare a ingrossare le fila dei centri dialisi e della lista delle persone in attesa di trapianto di reni. Sono alcuni dei dati emersi da un recente studio del professor Giovanni Gambaro, direttore Unità Operativa di Nefrologia dell’Uni-versità Cattolica - Complesso Integrato Columbus di Roma, pubblicato sulla rivista Clinical Journal of the American Society of Nephrology e reso noto in occasione della Giornata Mondiale del Rene. “Molto vero-similmente”, ha spiegato Gambaro, “le malattie renali da causa sconosciuta sono nefropatie degenerative causate da diabete, eccesso di grassi nel sangue, obesità, farmaci, nonché da fumo e ipertensione”. Lo studio, chiamato INCIPE, ha coinvolto circa 6000 persone, prese in modo casuale nelle liste di 50 medici di medicina generale. Il reclutamento è avvenuto tra la primavera del 2006 e quella del 2007. I cittadini venivano convocati in 4 diversi centri di reclutamento e qui erano visitati da un medico che effettuava anche i prelievi ematici. La ricerca ha individuato che tra gli Italiani con più di 40 anni di età ben il 12% ha una nefropatia. La gran parte di essi non ne è a conoscenza. Infatti 3 su 4 non sanno di avere una nefropa-tia. Non hanno sintomi, apparentemente sono in buona salute, pur presentando forme di diversa gravità di malattia renale. I rischi dietro l’angolo in questi soggetti, ignari di avere una nefropatia cronica, sono infarto e ictus in quanto le malattie renali croniche aumentano il rischio di malattie cardiovascolari; e lo sviluppo di una insufficienza renale così avanzata da richiedere la dialisi o il trapianto di rene.

Dr. Nicola Cerbino - Responsabile Ufficio StampaUniversità Cattolica Sede di Roma e Policlinico universitario “Agostino Gemelli”

[email protected] - www.rm.unicatt.it - www.policlinicogemelli.it

GIORNATA

MONDIALE

DEL RENE

TROPPI GLI ITALIANI MALATI SENZA SAPERLO

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olecole che bloccano l’attività del re-cettore per il neuropeptide nocicet-tina/orfanina (N/OFQ), detto anche

recettore NOP: potrebbe essere questa la carat-teristica principale di una nuova classe di farmaci per la cura degli stati depressivi e dei disturbi del movimento come il Morbo di Parkinson.A riportare la notizia è il numero di marzo di Neu-ropharmacology (versione digitale disponibile da fine gennaio), mentre lo studio è stato svolto dal gruppo del professor Girolamo Calò, ricercato-re presso il Dipartimento di Medicina Sperimen-tale e Clinica dell’università di Ferrara e membro dell’Istituto Nazionale di Neuroscience (INN). Il recettore NOP è ampiamente diffuso nel sistema nervoso centrale, dal sistema limbico per quello che riguarda gli aspetti cognitivi e l’ansia, alle aree cerebrali importanti per l’ideazione e il controllo del movimento, a tutte le zone di trasmissione del dolore, compreso il midollo spinale. Per questo motivo, l’eliminazione del gene che codifica NOP, e quindi lo spegnimento del segnale endogeno generato dall’interazione N/OFQ – NOP, può in-fluire sul controllo di tutte queste funzioni. «Dallo scorso anno sono disponibili, tra i modelli anima-li, i ratti che non esprimono il recettore NOP; noi abbiamo caratterizzato il loro fenotipo» spiega il professor Calò. «Abbiamo osservato qualcosa di molto peculiare perché se normalmente una via recettoriale che agisce sull’umore agisce anche sugli stati ansiosi, nel caso dei ligandi NOP gli agonisti provocano gli effetti ansiolitici, mentre gli antagonisti quelli antidepressivi». Il contributo più importante di questo tipo di studi è proprio individuare quali indicazioni terapeutiche e quali controindicazioni possono essere legate alla som-

ISTITUTO NAZIONALE DI NEUROSCIENZEINN

ANTAGONISTI DEL RECETTORE NOP PER LA CURA DELLA DEPRESSIONE E DEL MORBO DI PARKINSON

ministrazione di molecole in grado di attivare o bloccare selettivamente un particolare recettore. «Nel caso degli antagonisti di NOP, al momento possiamo proporre un loro uso quali farmaci in-novativi per il trattamento della depressione e del Morbo di Parkinson. Occorre invece cautela nel somministrare questi stessi composti in pazien-ti affetti da dolore cronico e stati ansiosi». Infine, non sembra che l’effetto antidepressivo osservato possa in qualche moto derivare dalla stimolazione dell’attività locomotoria. «Ritengo che l’effetto an-tidepressivo degli antagonisti di questo recettore sia genuino. Non dimentichiamo però che stiamo parlando di studi su animali; non avremo una ri-sposta certa fino a quando non verranno effettua-ti trial clinici con gli antagonisti NOP nell’uomo». conclude Calò. Le evidenze pre-cliniche per l’uti-lizzo degli antagonisti NOP nei pazienti con Mor-bo di Parkinson e quelli che soffrono di disturbi depressivi non mancano. Ora il passo successivo spetta alle industrie farmaceutiche.Contatti

Girolamo CalòDipartimento di Medicina Sperimentale e ClinicaSezione di Farmacologia Università di Ferrara

Ufficio stampa dell’Istituto Nazionale di NeuroscienzeElisa Frisaldi elisa.frisaldi@unito.itwww.ist-nazionale-neuroscienze.unito.itBibliografiaAnna Rizzi, Stefano Molinari, Matteo Marti, Giuliano Marzola, Girolamo Calò. Nociceptin/orphanin FQ recep-tor knockout rats: in vitro and in vivo studies, Neurophar-macology, marzo 2011, vol 60(4), pg: 572-579.

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